8. Non rovinare tutto, dopo aver letto

DSC_3868bSchifosissimi ficcanaso dell’antro di Scuro,

che siate insegnanti o studenti, avete mai notato com’è facile rovinare il piacere di leggere proponendo qualche orripilante attività dopo aver terminato la lettura di una bella storia? Io sì, e per questo ho deciso di chiudere il mio ottalogo e, insieme, la mia rubrica sul «Corriere del Ticino» di oggi (03.08.2016, p. 25) con qualche dritta per evitare questa specie di catastrofe.

Per saperne di più, scaricatevi il pdf dell’articolo o leggete qui sotto (noi ci rivedremo presto per qualche appunto riepilogativo sul mio ottalogo, che metterò tutto intero online apposta per voi)…

Per gli schifosi peli della mia barbaccia, siamo arrivati all’ultima puntata! Un po’ mi dispiace, ma sono sicuro che da qualche parte ci incontreremo (nel caso, non spaventatevi: sembro cattivo, ma lo sono solo un pochino). Mi piacerebbe sapere che queste otto puntate vi hanno lasciato qualcosa; che i miei otto suggerimenti per allevare giovani lettori si traducano in uno sforzo concreto. Anche piccolo: più tempo a far frusciare pagine di carta e meno tempo a pecchettare sui tablet (avete letto bene, “pecchettare”: è un neologismo che mi ha regalato una bimba, perfetto per rendere il rumore e l’ottusità del gesto di colpire con i polpastrelli uno schermo digitale). Ma non posso salutarvi senza un ultimo, importantissimo suggerimento: non rovinare tutto, dopo aver letto. Già, perché è anche troppo facile mandare tutto in fumo con una scelta sbagliata.

Prima possibilità: non fare niente di niente. Se preferite, non fare un bel tubo! Perché? Ma per un motivo molto semplice: far passare l’idea che la lettura può anche essere totalmente gratuita. Un (bel) regalo che offrite ai giovani lettori senza chiedere nulla in cambio (solo un po’ della loro attenzione). Ma ci pensate? Se i Promessi sposi fossero letti a scuola solo per il piacere di farlo, e non per sostenere interrogazioni, forse avremmo un bel nugolo di lettori appassionati in più. Dunque, contro le attese, le abitudini, le routine, qualche volta bisogna avere il coraggio di regalare letture, senza tornarci più sopra. Diventare “donatori di storie”.

Seconda possibilità: discutere della storia letta. Ci sono storie che, per essere capite, vanno discusse, meglio se tutti insieme. Al nobile scopo di costruirne insieme un significato condiviso. Così ci insegna lo studioso e scrittore inglese Aidan Chambers, ideatore di un approccio per discutere dei libri rivoluzionario, perché calibrato non su chi fa le domande, ma su chi deve rispondere. Per saperne di più, leggetevi uno dei suoi saggi più celebri: Il piacere di leggere e come non ucciderlo (Sonda, 2011). Capirete che un approccio di questo tipo vi consentirà anche di approfondire quegli aspetti che di solito distruggono il piacere per le storie, perché associati inevitabilmente al “dovere” scolastico, come l’analisi linguistica o grammaticale.

Terza possibilità: giocare con il libro. Come? Sbizzarritevi! Qualche idea tratta da un manualetto utilissimo (1001 attività per raccontare esplorare giocare con i libri di Philippe Brasseur, Lapis, 2015): trasformare la storia (riscriverla, o farne un copione teatrale); creare un gioco a quiz sul libro, o altri giochi enigmistici (cruciverba, rebus); promuovere il club di lettura: i bambini si ritrovano (da soli) in una specie di caffè letterario (o trasmissione radio o tv) per parlare delle loro letture; ideare dei manifesti per reclamizzare il libro preferito; rimettere in ordine i pezzi della storia con le immagini o i testi; invitare l’autore del libro in classe; raccogliere le parole speciali del libro in barattoli o scrigni.

Per finire, un bel riepilogo. Chiamatelo l’ottalogo di Scuro Moltamorte per catturare giovani lettori, se vi va: 1) sorprenderli; 2) trovare il posto giusto per leggere; 3) trasformare la lettura in un rito; 4) dare voce alle storie; 5) animare la lettura con tante voci; 6) riscoprire l’albo illustrato; 7) scegliere storie divergenti e di qualità; 8) non rovinare tutto dopo aver letto. Per gli schifosi peli della mia barbaccia, questo è tutto! E vi pare poco?

7. Scegliere storie divergenti e di qualità

DSC_3878bSchifosissimi ficcanaso dell’antro di Scuro,

siamo ormai giunti alla penultima puntata della mia rubrica sul «Corriere del Ticino»: sul numero di oggi (02.08.2016, p. 25) scrivo alcune cosette su un mio storico cavallo di battaglia, cioè le storie divergenti. Per saperne di più, potete scaricare il pdf dell’articolo o leggere qui sotto:

Per gli schifosi peli della mia barbaccia, stiamo galoppando come dei cavalli verso il fondo dell’antro! Cioè, fuor di metafora, siamo giunti alla penultima puntata. La volta scorsa vi ho parlato dell’albo illustrato come risorsa formidabile per far nascere il piacere di leggere nei giovani lettori. Oggi aggiungo un tassello (il settimo) al mosaico dei miei suggerimenti; ed è un tassello che si affianca al precedente: va bene partire dagli albi illustrati, ma devono essere libri di qualità e preferibilmente divergenti.

Su che cosa sia la qualità non credo che ci siano molti dubbi. Le storie devono essere ben scritte, non banali, con una grande ricchezza lessicale, e con un testo in perfetto equilibrio con le immagini. Sulla ricchezza e la varietà delle parole, mi limito a ricordarvi che i giovani lettori le assorbono come spugne, ne hanno un bisogno assoluto. La loro mente si sta formando, e più parole riescono a immettervi dentro, più saranno in futuro liberi di pensare. Se hanno poche parole, il pensiero risulterà rachitico, atrofizzato. Dunque non preoccupatevi se le storie vi sembrano un po’ difficili per il vostro giovane pubblico: le difficoltà servono per destare le menti. Per questo, non adattate il testo d’autore, non modificatelo, non semplificatelo! Ogni ostacolo, anche una sola parola, è un’occasione per riflettere, per parlare e per apprendere!

Su che cosa sia un libro divergente, invece, è lecito che abbiate qualche dubbio: che cosa vorrà mai dire il vostro Scuro Moltamorte quando usa l’aggettivo “divergente” associato a “libro”? Ebbene, per me questa è una parolina magica: divergente vuol dire che non va come te l’aspetti, che sovverte le tue attese, che introduce una variazione in uno schema che sembrava consueto, e dunque ti sorprende. Può essere un andamento inatteso della struttura narrativa (ti aspetti che la storia continui, e invece finisce all’improvviso, e sei tu che devi immaginare la conclusione); un finale ben lontano dai cliché di genere, non lieto, non hollywoodiano; una questione formale, come un uso del tutto nuovo delle immagini o del loro rapporto con il testo (ad esempio, le immagini che dicono il contrario del testo sono sempre un ottimo espediente per destare l’attenzione); un rovesciamento del punto di vista; oppure, la divergenza può essere nel tema, che può uscire dai canoni abituali. E tanto altro ancora.

Insomma, perché caldeggio l’uso di storie divergenti? Sicuramente perché attivano una reazione in chi legge o ascolta, molto più che le narrazioni tranquillizzanti alla Peppa Pig, che si risolvono sempre con grasse risate e rotolamenti per terra, a alla Masha e Orso, che prevedono invariabilmente la serena rassegnazione del plantigrado di fronte a quella piccola lagna dalla voce perforante. D’accordo, magari storie così non tranquillizzano. Magari non forniscono risposte. Ma è proprio questa la loro grande virtù: spalancano porte, invece di chiuderle. E la realtà spesso non è fatta di orsetti e confetti. Dunque, ben vengano quelle storie nelle quali ci si può anche perdere, perché l’importante è andare alla ricerca di qualcosa, senza trovare risposte preconfezionate per farci star buoni.

Un bell’esempio di storia divergente, ideale per discutere e per riflettere? Una strana creatura nel mio armadio di Mercer Mayer (Kalandraka, 2015). Perché a volte anche le grandi paure vanno prese di petto, magari per scoprire che in fondo non erano così grandi. O che sono loro ad aver timore di noi.

6. (Ri)scoprire l’albo illustrato

DSC_3876bSchifosissimi ficcanaso dell’antro di Scuro,

sul «Corriere del Ticino» di oggi (29.07.2016) ci sono di nuovo io, immortalato in una fotografia che mi ritrae mentre reggo e mostro tre esemplari del mio albo illustrato preferito, in tre lingue diverse. Perché ho scelto di farmi ritrarre in questo modo? Be’, semplicemente perché il sesto suggerimento del mio personalissimo ottalogo per catturare giovani lettori riguarda proprio gli albi illustrati. Leggete un po’ qua o direttamente sulla pagina 27 del «Corriere» di oggi:

Per gli schifosi peli della mia barbaccia, benvenuti per la sesta volta nell’antro di Scuro! Oggi mi va di spiegarvi alcune cose che mi stanno molto a cuore. In particolare, mi soffermo sull’espressione “albo illustrato”, che ho usato sin dalla mia prima comparsa sulle pagine del Corriere. Ebbene, alcuni di voi si saranno sicuramente chiesti perché parlo sempre di albi illustrati e non di libri illustrati, o di libri con le figure. Be’, la domanda non è per niente stupida! In italiano si tende a fare un po’ di confusione, a usare un’etichetta per l’altra. Ma in ambito anglofono (già, perché è a Regno Unito e Stati Uniti d’America che dobbiamo guardare quando parliamo della nascita della moderna letteratura per l’infanzia) la distinzione è molto precisa: con libri illustrati o con le figure (“illustrated books”) si intendono quei libri in cui prima c’è il testo, e solo dopo si aggiunge l’immagine, che di solito è un mero abbellimento del testo (anche se contribuisce all’interpretazione che il lettore dà del testo, perché guida la sua immaginazione); ad esempio, sono innumerevoli le edizioni illustrate di Pinocchio. Con albi illustrati (in origine “picture books”, poi diventata una parola sola, “picturebooks”), invece, si intendono quei libri nei quali la storia è raccontata attraverso la combinazione di parole e immagini: e le prime non possono stare senza le seconde, perché il significato si costruisce solo mediante il loro dialogo. In genere, gli albi illustrati hanno meno pagine e testi più brevi.

Per essere precisi, bisogna poi aggiungere gli albi senza parole (“wordless books” o “silent books”), cioè quei libri in cui l’unico elemento testuale è il titolo, mentre tutto il resto è fatto solo di immagini. Spesso, sono vere e proprie opere d’arte, che offrono innumerevoli piani di interpretazione, da quelli letterali a quelli simbolici e metaforici: un’attività sempre molto stimolante, quando si lavora con bambini e ragazzi, è di chiedere loro di trasformarli in storie di parole, dando quindi voce alle immagini secondo i dati oggettivi (ciò che le immagini mostrano) e la propria sensibilità (ciò che le immagini ci comunicano).    

Perché mi sono soffermato su questa distinzione, oggi? Be’, perché alcune puntate fa mi sono presentato come uno schifosissimo missionario della narrazione con un’inclinazione spiccata proprio per gli albi illustrati. Ritengo infatti che questo genere di libro per l’infanzia sia una risorsa formidabile per far innamorare i giovani lettori dei libri e delle storie, proprio perché combina la dimensione del testo con quella delle immagini, a creare un tutt’uno di senso che pare fatto apposta per destare l’attenzione e far nascere il piacere di leggere e di guardare. Dunque lo dico sempre a gran voce (ed è questo il mio suggerimento odierno): genitori, docenti, educatori, iniziate dagli albi illustrati! E continuate per un bel pezzo, senza dare retta a chi vi dice che sono solo per bambini molto piccoli. Persino a scuola sono una risorsa infinita, che può accompagnare l’insegnamento dell’italiano dall’infanzia a tutto il ciclo elementare e, volendo, anche oltre.

E, siccome di solito vi propino titoli di albi illustrati, questa volta faccio uno strappo alla regola e vi segnalo uno dei più straordinari albi senza parole degli ultimi anni: L’approdo di Shaun Tan (Elliot, 2008). Per scoprire le potenzialità di questo tipo di albo e per riflettere e sognare su un tema di estrema attualità come l’immigrazione.

5. Animare la lettura con tante voci

DSC_3865bSchifosissimi ficcanaso dell’antro di Scuro,

iniziamo la settimana con il quinto suggerimento per catturare giovani lettori. Ecco infatti che due mostruosi Scuri campeggiano sul «Corriere del Ticino» di oggi (25.07.2016, p. 21), per spiegare a tutti voi lettori come rendere vivace e divertente una lettura insieme ai bambini. Non chiedetemi quale sortilegio ho adoperato per sdoppiarmi, però, e invece leggete un po’ qua…

Per gli schifosi peli della mia barbaccia! Nella scorsa puntata, abbiamo considerato l’importanza della lettura espressiva per dare voce alle storie. Ma non abbiamo detto tutto: infatti, con le voci è possibile anche animare la lettura, in modo che i giovani lettori siano coinvolti in prima persona nella narrazione, che diventa una sorta di rappresentazione teatrale. E non ho usato a caso il plurale: ho parlato di “voci” perché ci sono alcune storie che sembrano fatte apposta per coinvolgere nella lettura altre persone, e non solo il narratore principale.

Partiamo dal lettore adulto: immaginiamo che abbiate voglia di leggere un bell’albo illustrato con un vostro collega (se siete docenti) o comunque con un altro adulto. Perché la lettura a due voci sia efficace, dovete scegliere la storia adatta. La prima che mi viene in mente è Due mostri di David McKee (Lapis, 2014), in cui due brutte creature si trovano a fronteggiarsi separate da un’alta montagna. Non si vedono, ma si sentono (ecco perché la voce è così importante). Solo che invece di parlare pacatamente, iniziano a lanciarsi (metaforicamente) terribili insulti e (letteralmente) pezzi di montagna. Fino a quando della montagna non rimane più che qualche ciottolo, e i due finalmente si vedono. Una storia che prima parla di egoismo, presunzione e pregiudizio, e poi di amicizia e di condivisione. Il tutto grazie alla voce: ecco quindi che la lettura animata si fonde con il senso della storia, accompagnando il vostro pubblico nel percorso che parte dall’insulto tutto da ridere alla distensione finale.

Passiamo ora al lettore bambino: immaginiamo che abbiate invece voglia di leggere insieme a un gruppo di pargoli un divertente albo illustrato. Sì, perché per questo tipo di lettura le storie che fanno ridere (il che non significa che siano stupide!) sono l’ideale: il loro potenziale comico viene esaltato dall’interpretazione dei lettori-attori. Anche in questo caso, quindi, la scelta dell’albo è fondamentale: è necessario che la storia sia ricca di dialoghi, e che presenti un numero di personaggi calibrato sul numero di voci che avete a disposizione. Se volete coinvolgere tanti bambini, le storie del lupo sfigato di Mario Ramos sono perfette; ad esempio, Sono io il più forte (Babalibri, 2002) vede succedersi sulla scena la bellezza di 14 voci diverse, oltre al narratore: nell’ordine, il grande lupo cattivo, un innocente coniglietto, una tenera Cappuccetto Rosso, tre porcellini tremanti e terrorizzati, sette nani con voci tonanti, un draghetto molto sicuro di sé. Oppure Non è una buona idea di Mo Willems (Il Castoro, 2015), per il quale vi occorrono un lupo (che si crede furbo), un’anatra (che è furba davvero) e sei anatroccoli che sanno tutto e che potete far parlare sommando le loro voci col passare delle pagine (alla loro prima comparsa, solo un anatroccolo; alla seconda due, alla terza tre, e così via, fino alla conclusione corale). Il risultato è garantito, parola di Scuro!

Come avrete notato, questa volta vi ho dato i consigli di lettura insieme al suggerimento odierno. Ma non voglio rinunciare a concludere nel modo consueto… volete alcune storie semplici, fondate su rapidi scambi di battute tra due simpatici personaggi, che non richiedono competenze di lettura troppo sviluppate, e che siano anche significative e divertenti? Ebbene, puntate ancora sul geniale Mo Willems, e sulla fortunata serie di Reginald e Tina, il cui titolo più recente è Uffa, quanto manca? (Il Castoro, 2016).

4. Dare voce alle storie

DSC_3884b-2Schifosissimi ficcanaso dell’antro di Scuro,

il tempo vola, e siamo già arrivati alla metà delle puntate della mia rubrica sul «Corriere del Ticino». Il quarto suggerimento per catturare giovani lettori riguarda la specialità del vostro vecchio amico con la barbaccia: la lettura ad alta voce. Sì, perché leggere bene, in modo espressivo, è fondamentale per far vivere le storie. Ecco che cosa scrivo a pagina 26 del «Corriere del Ticino» (22.07.2016):

Per gli schifosi peli della mia barbaccia! Tra un grugnito e uno sbuffo, siamo arrivati al quarto suggerimento per catturare giovani lettori. Oggi vi parlo della lettura espressiva: leggere bene, ad alta voce, per far vivere le storie.

Banale, vero? Tutt’altro! Soprattutto se si pensa a quali dettagli bisogna curare per farlo. Ad esempio il ritmo: se stiamo leggendo una sequenza concitata, dovremmo adeguare la nostra voce all’incalzare degli eventi, rendere il ritmo veloce, fino a toglierci il fiato; se stiamo leggendo una sequenza dai tratti pacati e tranquilli, magari una descrizione bucolica, dovremmo leggere lentamente, con pacatezza (non mi riesce molto bene, lo ammetto); possiamo farci aiutare, nel cadenzare il ritmo, dalla guida dei segni di punteggiatura, che hanno la virtù di scandire le frasi e i periodi; ma ogni tanto possiamo anche decidere di non rispettarli, se intuiamo che un passaggio necessita di una nostra interpretazione un po’ creativa. Ci sono poi il volume, il tono e il timbro: non si deve arrivare all’urlo stridulo modello sirena dei pompieri, che può anche disturbare invece di avvincere (una volta mi è capitato di sentire una lettrice produrre un suono simile all’allarme aereo, e, siccome non ho capito subito che cosa stava succedendo, me la sono data a gambe levate, inciampando negli schifosi peli della mia barbaccia), ma se dobbiamo riprodurre il parlato di due personaggi che discutono animatamente, un innalzamento del volume è d’obbligo; così come è d’obbligo variare il tono e il timbro: se parla un orco, o un lupo, o una specie di stregone (come il sottoscritto), un tono basso e un timbro roco ci stanno a pennello; se la parola passa a una strega dall’aspetto pungente e sottile, una vocina stridula e acuta è quel che ci vuole (ma, mi raccomando, evitate gli eccessi: è fin troppo facile varcare il confine che separa la bravura dalla ridicolaggine). Bisogna poi prestare molta attenzione alle parole-chiave, cioè a quelle parole nelle quali si concentrano i significati centrali della narrazione: bisogna farle sentire, pronunciarle con enfasi, con meditata lentezza, con tono diverso; insomma, l’ascoltatore deve capire che lì si annida il cuore pulsante degli eventi. Non si deve trascurare l’importanza dell’articolazione dei muscoli della bocca: in corrispondenza di scene cariche di pathos o di drammaticità, muovere la bocca in modo molto marcato, digrignare i denti, sibilare, e accompagnare il tutto con l’espressività degli occhi (le mie specialità, insomma), tutto ciò aiuta a coinvolgere l’ascoltatore e a immergerlo nella forza emotiva del racconto. Già, perché forse la cosa più importante è proprio questa: il coinvolgimento emotivo. Ed è possibile ottenerlo solo a patto di farsi, come lettore, tutt’uno con la storia: dobbiamo sentirla scorrere dentro di noi, interiorizzarla, per poi iniettarla nella nostra voce. La storia che diventa voce: ecco il segreto!

Volete provarci? Non potete perdervi Lo Yark (LO editions, 2015) di Bertrand Santini, nella strabiliante traduzione di Paola Gallerani. Una storia molto noir, ironicamente macabra, di un orco mangia-bambini-buoni, che avvince soprattutto per il ritmo e la musicalità delle parole: è una narrazione in prosa, ma i periodi e le frasi giocano spesso con le rime, con esiti stilistici di qualità assoluta. Un invito a nozze per mettere alla prova la propria voce (magari ispirandovi al CD audio allegato, con la lettura integrale di Franco Sangermano). Che aspettate?

3. Trasformare la lettura in un rito

DSC_3858bSchifosissimi ficcanaso dell’antro di Scuro,

e venne il momento di trasformare la lettura in un rito! Già, è questo il terzo suggerimento che propongo sul «Corriere del Ticino» di oggi (20.07.2016, p. 23). Leggete qui sotto, o scaricatevi il pdf dell’articolo.

Per gli schifosi peli della mia barbaccia! Nonostante l’aspetto, non sono un santone. Ma oggi vi parlo lo stesso di un rito: quello della lettura. Il terzo suggerimento che il vostro Scuro Moltamorte vi offre su un piatto d’argento è infatti proprio questo: trasformare la lettura in un rito. Come? Le possibilità sono davvero tante…

Ad esempio, si può entrare in scena sempre nello stesso modo: prima di leggere, si recita una formula magica, una filastrocca (o si dice semplicemente “Per gli schifosi peli della mia barbaccia!”). Magari portando con sé un baule, o la valigia delle storie; io preferisco un sacco di juta, ma ogni scelta è lecita. L’importante è che alla vista del contenitore si associ subito ciò che è custodito al suo interno e ciò che viene poco dopo: un libro e la sua lettura. Inoltre, queste “scatole magiche” si prestano assai bene a contenere anche oggetti vari, magari legati al contenuto della storia, da estrarre prima, durante o dopo la lettura.

Funziona molto bene anche il ricorso a un fido aiutante: può essere anche solo una vocina, un pupazzetto, una marionetta da infilare in un dito o in una mano. Uno dei miei aiutanti preferiti è il Signor Porcello, che potete ammirare nella foto. L’importante è che abbia dei comportamenti tipici, ricorrenti: il Signor Porcello, ad esempio, oltre a grugnire e a essere sempre molto affamato, ogni tanto perde un po’ il controllo del registro linguistico, e dice qualche parolaccia (cosa che scandalizza il sottoscritto e diverte i bambini); a dire il vero, ogni tanto perde anche un altro tipo di controllo (fa qualche puzzetta), e questo è un problema che dovremo cercare di risolvere.

Queste strategie si possono anche combinare tra di loro: l’aiutante nascosto nel sacco di juta, oppure l’aiutante che recita la filastrocca, o tutte le altre combinazioni che vi vengono in mente. Ricordatevi, però, che quando inizia la lettura l’aiutante deve scomparire di scena, o restarsene in disparte, altrimenti si trasforma in un elemento di disturbo, di distrazione.

Se siete docenti di scuola dell’infanzia e di scuola elementare, provate poi a giocarvi questa carta (me l’ha suggerita la strega Francesca della libreria Sognalibro di Gordola): iniziare ogni giornata di scuola leggendo un albo illustrato, o una storia breve, o quello che volete. Ma farlo sempre, tutti i giorni, almeno per due settimane. E all’inizio della terza fate finta di aver dimenticato il rito: non avete sacchi, valigie, scatole magiche, non avete libri con voi, ve li siete scordati. Venitemi poi a raccontare che cosa succede, che cosa vi dicono i bambini…

Se siete genitori, infine, non potete perdere l’occasione del secolo: il rito della lettura della buonanotte! Uno, due o anche tre albi illustrati da leggere insieme ai vostri pargoli, standovene sdraiati con loro o in poltrona. E non pensate di dovervi procurare ogni volta tre libri nuovi: ai bambini piace ascoltare le stesse storie anche un sacco di volte. E ricordate una cosa: leggere un libro prima di dormire fa bene alla salute! Lo dico anche per voi “grandi”, ovviamente: spegnete il tablet e coricatevi con un bel libro. Ne guadagnerete in qualità del sonno e in anni di vita (lo dicono gli scienziati, mica solo io).

Un libro per iniziare questo bellissimo rito in modo un po’ bizzarro? I cinque malfatti di Beatrice Alemagna (Topipittori, 2014). Per capire che la perfezione non esiste, non è di questo mondo. E che i difetti, a volte, possono diventare delle grandi virtù.

2. Trovare il posto giusto per leggere

DSC_3850bSchifosissimi ficcanaso dell’antro di Scuro,

eccoci al secondo punto del mio personalissimo ottalogo per catturare giovani lettori. Qual è? Be’, non siate frettolosi: per scoprirlo, leggetevi che cosa ho scritto sul «Corriere del Ticino» di oggi (15.07.2016, p. 27):

Per gli schifosi peli della mia barbaccia! Bentornati nell’antro di Scuro! E siccome mi sono già presentato la volta scorsa, quando abbiamo considerato l’importanza di sorprendere il nostro pubblico, partiamo subito con il secondo suggerimento per accalappiare giovani lettori: creare il contesto adatto.

Ragioniamo per assurdo: se mi venisse in mente di comparire in Piazza Grande, a Locarno, durante il Festival o nel bel mezzo di Moon and Stars (o anche in una qualunque più anonima assolata giornata d’estate), vestito con il mio fido saio e con i miei puzzolentissimi sandali ai piedi, sventolando la mia sudicia barbaccia ai quattro venti e brandendo in mano un albo illustrato, è assai probabile che, invece di catturare lettori, finirei per essere catturato io stesso, sì, ma dalla Polizia, per portarmi a scoprire un altro antro non troppo piacevole da visitare (la gattabuia, intendo). Questo pittoresco scenario dice in modo molto chiaro e narrativo una cosa precisa: va bene sorprendere, ma il contesto nel quale facciamo la nostra comparsa per leggere non è indifferente alla riuscita della nostra missione (la ricordo: far incontrare libri e bambini). In altre parole, se non lo prepariamo bene, con cura e dedizione, ogni sforzo, per quanto encomiabile, risulterebbe vano: faremmo soltanto una brutta figura e ci sentiremmo tremendamente tristi e scorati. Inutili.

Come fare, dunque, per predisporre il terreno, affinché sia pronto ad accogliere i semi di storie e a far germogliare i virgulti della narrazione (che poeta!)? Prima di tutto bisogna scegliere il luogo adatto: non certo un supermercato o l’ufficio circondariale di tassazione, dove la gente ha altre cose da fare e da pensare; e nemmeno il cortile della scuola nel bel mezzo della ricreazione, dove i bambini hanno tutto il diritto di sfogarsi, correre e urlare; piuttosto, un luogo dove i libri si sentono di casa. Ad esempio una biblioteca, una libreria, un teatro, un’aula scolastica, una cameretta, davanti al camino, quando viene sera, prima di dormire. Insomma, luoghi e momenti “protetti”, in cui ci si senta tranquilli, al sicuro, ben disposti all’ascolto.

Poi, bisogna eliminare tutte le possibili fonti di distrazione, perché l’ascolto delle buone storie ha bisogno di molta attenzione. Dunque, spegnere televisioni, cellulari, computer, iPad e altri ammennicoli tecnologici. Può andare bene una leggera musica di sottofondo, coerente con la storia che stiamo per iniziare, per creare l’atmosfera giusta. Così come la luce, che non deve essere abbagliante, ma soffusa e rilassante. Se poi siamo in una classe e usiamo un albo illustrato, dovremmo disporre i bambini a semicerchio, in modo che possano tutti (nessuno escluso!) vedere bene il libro che teniamo in mano (all’altezza del loro sguardo, mi raccomando!). Infatti, se il numero di bambini non è troppo grande, almeno per una prima lettura è meglio evitare di proiettarne le immagini attraverso un marchingegno elettronico. I bambini sono fin troppo abituati ad armeggiare con gli iPad, dunque è bene proteggerli da ulteriori inutili esposizioni ai pixel e far sentire loro il profumo delle pagine fruscianti.

Un libro per combinare bene i primi due suggerimenti (sorprendere e curare il contesto)? Per restare sul tema della scorsa puntata, La vera storia dei tre porcellini di Jon Scieszka e Lane Smith (Zoolibri, 2010), da raccontare con una bella voce lupesca. Se i vostri giovani lettori hanno gusti un po’ macabri, risate a crepapelle assicurate!

1. Sorprenderli

Schifosissimi ficcanaso dell’antro di Scuro,

oggi è un gran giorno per il vostro vecchio pazzo missionario della narrazione: infatti, la data odierna segna la mia irruzione sulle pagine del «Corriere del Ticino», come tetro curatore di una nuova rubrica, che si chiama appunto L’antro di Scuro Moltamorte. Lo scopo che mi prefiggo con questa nuova giornalistica missione è di proporre all’attenzione di tutti una serie di otto suggerimenti per catturare giovani lettori (alla fine, vi offrirò il cosiddetto “Ottalogo di Scuro Moltamorte”).

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La prima puntata è dedicata alla presentazione di me medesimo (se mai ci fosse qualcuno che ancora non mi conosce) e all’illustrazione del primo suggerimento. Per soddisfare la vostra inarrestabile curiosità, riporto qui sotto il testo dell’articolo («Corriere del Ticino», 13.07.2016, p. 22), che comunque potete leggere nella sue versione originale cliccando sull’immagine.

Per gli schifosi peli della mia barbaccia! Dopo aver scorrazzato in TV, sui social network, in teatro, nelle librerie, nelle scuole e persino per i corridoi del DFA di Locarno, eccomi anche qui, a fare chiassosa irruzione sulle pagine del «Corriere del Ticino», dando il benvenuto ai lettori che da oggi e per altre sette puntate decideranno (a loro rischio e pericolo) di avventurarsi nel mio antro. Sì, un oscuro luogo in cui si parlerà di libri e di storie.

Ma, prima di iniziare, a beneficio di chi ancora non mi conoscesse, almeno due parole di presentazione: il mio nome è Scuro, Scuro Moltamorte. Sono uno schifosissimo missionario della narrazione. “Schifosissimo” perché mi aggiro per il Ticino (e per il mondo tutto) con la mia lunga barbaccia bianca incrostata di sporcizia e insetti, vestito di un saio tetro e con i piedoni infilati in un paio di consunti e puzzolenti sandali di cuoio, armato solo di un sacco di juta in cui custodisco gelosamente… libri! Prevalentemente albi illustrati, ma non solo. “Missionario” perché ho deciso di reificarmi (sì, lo so: ogni tanto mi piace parlare difficile. E allora? Non lo sapete che gli esseri umani, soprattutto in tenera età, adorano scoprire nuove parole, dai suoni articolati e complessi?), dicevo, ho deciso di materializzarmi (mi piacciono anche i sinonimi, perifrasi e parafrasi comprese) per diffondere il verbo della narrazione tra le nuove generazioni; sono infatti convinto che solo due cose possano salvare il nostro mondo bislacco dallo sfacelo generale e dall’inebetimento provocato dal consumismo esasperato e dalle nuove tecnologie: i bambini e le narrazioni. I pargoli con gli occhi ancora pronti a meravigliarsi. I fanciulli incorrotti. Le storie. I buoni libri. Sì, la mia missione è di far incontrare libri e bambini, per far nascere la scintilla della speranza e per non farla morire. Mai! Ecco tutto.

Ed eccoci a noi: quando mi verrete a trovare in questo antro, vi suggerirò alcune strategie (otto, per la precisione) per accalappiare lettori e anche qualche buon libro per avvincerli, in modo che poi non vogliano più smettere. Insomma, vi aiuterò a inculcare loro un vizio che, al contrario del fumo, può creare indipendenza (mi piacciono anche i giochi di parole, ovviamente).

E il primo suggerimento è questo: bisogna sorprenderli. La sorpresa desta l’interesse, assopito dalla routine. Se vi si piazzasse all’improvviso davanti un vecchio pazzo vestito da frate, con una barbaccia lunga tre metri e lo sguardo allucinato, mentre brandisce in mano un albo illustrato e si mostra impaziente di leggerlo, non rimarreste sorpresi? Esterrefatti? Increduli? E non vi nascerebbe la voglia di sapere che cosa ha di così importante da raccontarvi? Io credo proprio di sì. Poi, dopo aver destato la sorpresa, bisogna anche avere il coraggio di farsi un po’ da parte, di mettersi in secondo piano (cosa che, lo ammetto, non mi riesce sempre molto facile: ho una presenza e un ego, come dire, un po’… ingombranti), per lasciare la parola alla storia. Magari, una storia anch’essa sorprendente.

Ne volete una? La raccolta Versi perversi (Salani, 1993) di uno dei miei autori preferiti, Roald Dahl: per sapere come sono andate veramente alcune delle più note fiabe tradizionali e per scoprire che razza di bambina è, davvero, quella volpe di Cappuccetto Rosso, che se ne va in giro per il bosco con due pellicce lupesche e una borsa da viaggio in pelle di maiale. Come mai? Be’, non vi rovino di certo la sorpresa…