7. Scegliere storie divergenti e di qualità

DSC_3878bSchifosissimi ficcanaso dell’antro di Scuro,

siamo ormai giunti alla penultima puntata della mia rubrica sul «Corriere del Ticino»: sul numero di oggi (02.08.2016, p. 25) scrivo alcune cosette su un mio storico cavallo di battaglia, cioè le storie divergenti. Per saperne di più, potete scaricare il pdf dell’articolo o leggere qui sotto:

Per gli schifosi peli della mia barbaccia, stiamo galoppando come dei cavalli verso il fondo dell’antro! Cioè, fuor di metafora, siamo giunti alla penultima puntata. La volta scorsa vi ho parlato dell’albo illustrato come risorsa formidabile per far nascere il piacere di leggere nei giovani lettori. Oggi aggiungo un tassello (il settimo) al mosaico dei miei suggerimenti; ed è un tassello che si affianca al precedente: va bene partire dagli albi illustrati, ma devono essere libri di qualità e preferibilmente divergenti.

Su che cosa sia la qualità non credo che ci siano molti dubbi. Le storie devono essere ben scritte, non banali, con una grande ricchezza lessicale, e con un testo in perfetto equilibrio con le immagini. Sulla ricchezza e la varietà delle parole, mi limito a ricordarvi che i giovani lettori le assorbono come spugne, ne hanno un bisogno assoluto. La loro mente si sta formando, e più parole riescono a immettervi dentro, più saranno in futuro liberi di pensare. Se hanno poche parole, il pensiero risulterà rachitico, atrofizzato. Dunque non preoccupatevi se le storie vi sembrano un po’ difficili per il vostro giovane pubblico: le difficoltà servono per destare le menti. Per questo, non adattate il testo d’autore, non modificatelo, non semplificatelo! Ogni ostacolo, anche una sola parola, è un’occasione per riflettere, per parlare e per apprendere!

Su che cosa sia un libro divergente, invece, è lecito che abbiate qualche dubbio: che cosa vorrà mai dire il vostro Scuro Moltamorte quando usa l’aggettivo “divergente” associato a “libro”? Ebbene, per me questa è una parolina magica: divergente vuol dire che non va come te l’aspetti, che sovverte le tue attese, che introduce una variazione in uno schema che sembrava consueto, e dunque ti sorprende. Può essere un andamento inatteso della struttura narrativa (ti aspetti che la storia continui, e invece finisce all’improvviso, e sei tu che devi immaginare la conclusione); un finale ben lontano dai cliché di genere, non lieto, non hollywoodiano; una questione formale, come un uso del tutto nuovo delle immagini o del loro rapporto con il testo (ad esempio, le immagini che dicono il contrario del testo sono sempre un ottimo espediente per destare l’attenzione); un rovesciamento del punto di vista; oppure, la divergenza può essere nel tema, che può uscire dai canoni abituali. E tanto altro ancora.

Insomma, perché caldeggio l’uso di storie divergenti? Sicuramente perché attivano una reazione in chi legge o ascolta, molto più che le narrazioni tranquillizzanti alla Peppa Pig, che si risolvono sempre con grasse risate e rotolamenti per terra, a alla Masha e Orso, che prevedono invariabilmente la serena rassegnazione del plantigrado di fronte a quella piccola lagna dalla voce perforante. D’accordo, magari storie così non tranquillizzano. Magari non forniscono risposte. Ma è proprio questa la loro grande virtù: spalancano porte, invece di chiuderle. E la realtà spesso non è fatta di orsetti e confetti. Dunque, ben vengano quelle storie nelle quali ci si può anche perdere, perché l’importante è andare alla ricerca di qualcosa, senza trovare risposte preconfezionate per farci star buoni.

Un bell’esempio di storia divergente, ideale per discutere e per riflettere? Una strana creatura nel mio armadio di Mercer Mayer (Kalandraka, 2015). Perché a volte anche le grandi paure vanno prese di petto, magari per scoprire che in fondo non erano così grandi. O che sono loro ad aver timore di noi.