5. Animare la lettura con tante voci

DSC_3865bSchifosissimi ficcanaso dell’antro di Scuro,

iniziamo la settimana con il quinto suggerimento per catturare giovani lettori. Ecco infatti che due mostruosi Scuri campeggiano sul «Corriere del Ticino» di oggi (25.07.2016, p. 21), per spiegare a tutti voi lettori come rendere vivace e divertente una lettura insieme ai bambini. Non chiedetemi quale sortilegio ho adoperato per sdoppiarmi, però, e invece leggete un po’ qua…

Per gli schifosi peli della mia barbaccia! Nella scorsa puntata, abbiamo considerato l’importanza della lettura espressiva per dare voce alle storie. Ma non abbiamo detto tutto: infatti, con le voci è possibile anche animare la lettura, in modo che i giovani lettori siano coinvolti in prima persona nella narrazione, che diventa una sorta di rappresentazione teatrale. E non ho usato a caso il plurale: ho parlato di “voci” perché ci sono alcune storie che sembrano fatte apposta per coinvolgere nella lettura altre persone, e non solo il narratore principale.

Partiamo dal lettore adulto: immaginiamo che abbiate voglia di leggere un bell’albo illustrato con un vostro collega (se siete docenti) o comunque con un altro adulto. Perché la lettura a due voci sia efficace, dovete scegliere la storia adatta. La prima che mi viene in mente è Due mostri di David McKee (Lapis, 2014), in cui due brutte creature si trovano a fronteggiarsi separate da un’alta montagna. Non si vedono, ma si sentono (ecco perché la voce è così importante). Solo che invece di parlare pacatamente, iniziano a lanciarsi (metaforicamente) terribili insulti e (letteralmente) pezzi di montagna. Fino a quando della montagna non rimane più che qualche ciottolo, e i due finalmente si vedono. Una storia che prima parla di egoismo, presunzione e pregiudizio, e poi di amicizia e di condivisione. Il tutto grazie alla voce: ecco quindi che la lettura animata si fonde con il senso della storia, accompagnando il vostro pubblico nel percorso che parte dall’insulto tutto da ridere alla distensione finale.

Passiamo ora al lettore bambino: immaginiamo che abbiate invece voglia di leggere insieme a un gruppo di pargoli un divertente albo illustrato. Sì, perché per questo tipo di lettura le storie che fanno ridere (il che non significa che siano stupide!) sono l’ideale: il loro potenziale comico viene esaltato dall’interpretazione dei lettori-attori. Anche in questo caso, quindi, la scelta dell’albo è fondamentale: è necessario che la storia sia ricca di dialoghi, e che presenti un numero di personaggi calibrato sul numero di voci che avete a disposizione. Se volete coinvolgere tanti bambini, le storie del lupo sfigato di Mario Ramos sono perfette; ad esempio, Sono io il più forte (Babalibri, 2002) vede succedersi sulla scena la bellezza di 14 voci diverse, oltre al narratore: nell’ordine, il grande lupo cattivo, un innocente coniglietto, una tenera Cappuccetto Rosso, tre porcellini tremanti e terrorizzati, sette nani con voci tonanti, un draghetto molto sicuro di sé. Oppure Non è una buona idea di Mo Willems (Il Castoro, 2015), per il quale vi occorrono un lupo (che si crede furbo), un’anatra (che è furba davvero) e sei anatroccoli che sanno tutto e che potete far parlare sommando le loro voci col passare delle pagine (alla loro prima comparsa, solo un anatroccolo; alla seconda due, alla terza tre, e così via, fino alla conclusione corale). Il risultato è garantito, parola di Scuro!

Come avrete notato, questa volta vi ho dato i consigli di lettura insieme al suggerimento odierno. Ma non voglio rinunciare a concludere nel modo consueto… volete alcune storie semplici, fondate su rapidi scambi di battute tra due simpatici personaggi, che non richiedono competenze di lettura troppo sviluppate, e che siano anche significative e divertenti? Ebbene, puntate ancora sul geniale Mo Willems, e sulla fortunata serie di Reginald e Tina, il cui titolo più recente è Uffa, quanto manca? (Il Castoro, 2016).

4. Dare voce alle storie

DSC_3884b-2Schifosissimi ficcanaso dell’antro di Scuro,

il tempo vola, e siamo già arrivati alla metà delle puntate della mia rubrica sul «Corriere del Ticino». Il quarto suggerimento per catturare giovani lettori riguarda la specialità del vostro vecchio amico con la barbaccia: la lettura ad alta voce. Sì, perché leggere bene, in modo espressivo, è fondamentale per far vivere le storie. Ecco che cosa scrivo a pagina 26 del «Corriere del Ticino» (22.07.2016):

Per gli schifosi peli della mia barbaccia! Tra un grugnito e uno sbuffo, siamo arrivati al quarto suggerimento per catturare giovani lettori. Oggi vi parlo della lettura espressiva: leggere bene, ad alta voce, per far vivere le storie.

Banale, vero? Tutt’altro! Soprattutto se si pensa a quali dettagli bisogna curare per farlo. Ad esempio il ritmo: se stiamo leggendo una sequenza concitata, dovremmo adeguare la nostra voce all’incalzare degli eventi, rendere il ritmo veloce, fino a toglierci il fiato; se stiamo leggendo una sequenza dai tratti pacati e tranquilli, magari una descrizione bucolica, dovremmo leggere lentamente, con pacatezza (non mi riesce molto bene, lo ammetto); possiamo farci aiutare, nel cadenzare il ritmo, dalla guida dei segni di punteggiatura, che hanno la virtù di scandire le frasi e i periodi; ma ogni tanto possiamo anche decidere di non rispettarli, se intuiamo che un passaggio necessita di una nostra interpretazione un po’ creativa. Ci sono poi il volume, il tono e il timbro: non si deve arrivare all’urlo stridulo modello sirena dei pompieri, che può anche disturbare invece di avvincere (una volta mi è capitato di sentire una lettrice produrre un suono simile all’allarme aereo, e, siccome non ho capito subito che cosa stava succedendo, me la sono data a gambe levate, inciampando negli schifosi peli della mia barbaccia), ma se dobbiamo riprodurre il parlato di due personaggi che discutono animatamente, un innalzamento del volume è d’obbligo; così come è d’obbligo variare il tono e il timbro: se parla un orco, o un lupo, o una specie di stregone (come il sottoscritto), un tono basso e un timbro roco ci stanno a pennello; se la parola passa a una strega dall’aspetto pungente e sottile, una vocina stridula e acuta è quel che ci vuole (ma, mi raccomando, evitate gli eccessi: è fin troppo facile varcare il confine che separa la bravura dalla ridicolaggine). Bisogna poi prestare molta attenzione alle parole-chiave, cioè a quelle parole nelle quali si concentrano i significati centrali della narrazione: bisogna farle sentire, pronunciarle con enfasi, con meditata lentezza, con tono diverso; insomma, l’ascoltatore deve capire che lì si annida il cuore pulsante degli eventi. Non si deve trascurare l’importanza dell’articolazione dei muscoli della bocca: in corrispondenza di scene cariche di pathos o di drammaticità, muovere la bocca in modo molto marcato, digrignare i denti, sibilare, e accompagnare il tutto con l’espressività degli occhi (le mie specialità, insomma), tutto ciò aiuta a coinvolgere l’ascoltatore e a immergerlo nella forza emotiva del racconto. Già, perché forse la cosa più importante è proprio questa: il coinvolgimento emotivo. Ed è possibile ottenerlo solo a patto di farsi, come lettore, tutt’uno con la storia: dobbiamo sentirla scorrere dentro di noi, interiorizzarla, per poi iniettarla nella nostra voce. La storia che diventa voce: ecco il segreto!

Volete provarci? Non potete perdervi Lo Yark (LO editions, 2015) di Bertrand Santini, nella strabiliante traduzione di Paola Gallerani. Una storia molto noir, ironicamente macabra, di un orco mangia-bambini-buoni, che avvince soprattutto per il ritmo e la musicalità delle parole: è una narrazione in prosa, ma i periodi e le frasi giocano spesso con le rime, con esiti stilistici di qualità assoluta. Un invito a nozze per mettere alla prova la propria voce (magari ispirandovi al CD audio allegato, con la lettura integrale di Franco Sangermano). Che aspettate?