6. (Ri)scoprire l’albo illustrato

DSC_3876bSchifosissimi ficcanaso dell’antro di Scuro,

sul «Corriere del Ticino» di oggi (29.07.2016) ci sono di nuovo io, immortalato in una fotografia che mi ritrae mentre reggo e mostro tre esemplari del mio albo illustrato preferito, in tre lingue diverse. Perché ho scelto di farmi ritrarre in questo modo? Be’, semplicemente perché il sesto suggerimento del mio personalissimo ottalogo per catturare giovani lettori riguarda proprio gli albi illustrati. Leggete un po’ qua o direttamente sulla pagina 27 del «Corriere» di oggi:

Per gli schifosi peli della mia barbaccia, benvenuti per la sesta volta nell’antro di Scuro! Oggi mi va di spiegarvi alcune cose che mi stanno molto a cuore. In particolare, mi soffermo sull’espressione “albo illustrato”, che ho usato sin dalla mia prima comparsa sulle pagine del Corriere. Ebbene, alcuni di voi si saranno sicuramente chiesti perché parlo sempre di albi illustrati e non di libri illustrati, o di libri con le figure. Be’, la domanda non è per niente stupida! In italiano si tende a fare un po’ di confusione, a usare un’etichetta per l’altra. Ma in ambito anglofono (già, perché è a Regno Unito e Stati Uniti d’America che dobbiamo guardare quando parliamo della nascita della moderna letteratura per l’infanzia) la distinzione è molto precisa: con libri illustrati o con le figure (“illustrated books”) si intendono quei libri in cui prima c’è il testo, e solo dopo si aggiunge l’immagine, che di solito è un mero abbellimento del testo (anche se contribuisce all’interpretazione che il lettore dà del testo, perché guida la sua immaginazione); ad esempio, sono innumerevoli le edizioni illustrate di Pinocchio. Con albi illustrati (in origine “picture books”, poi diventata una parola sola, “picturebooks”), invece, si intendono quei libri nei quali la storia è raccontata attraverso la combinazione di parole e immagini: e le prime non possono stare senza le seconde, perché il significato si costruisce solo mediante il loro dialogo. In genere, gli albi illustrati hanno meno pagine e testi più brevi.

Per essere precisi, bisogna poi aggiungere gli albi senza parole (“wordless books” o “silent books”), cioè quei libri in cui l’unico elemento testuale è il titolo, mentre tutto il resto è fatto solo di immagini. Spesso, sono vere e proprie opere d’arte, che offrono innumerevoli piani di interpretazione, da quelli letterali a quelli simbolici e metaforici: un’attività sempre molto stimolante, quando si lavora con bambini e ragazzi, è di chiedere loro di trasformarli in storie di parole, dando quindi voce alle immagini secondo i dati oggettivi (ciò che le immagini mostrano) e la propria sensibilità (ciò che le immagini ci comunicano).    

Perché mi sono soffermato su questa distinzione, oggi? Be’, perché alcune puntate fa mi sono presentato come uno schifosissimo missionario della narrazione con un’inclinazione spiccata proprio per gli albi illustrati. Ritengo infatti che questo genere di libro per l’infanzia sia una risorsa formidabile per far innamorare i giovani lettori dei libri e delle storie, proprio perché combina la dimensione del testo con quella delle immagini, a creare un tutt’uno di senso che pare fatto apposta per destare l’attenzione e far nascere il piacere di leggere e di guardare. Dunque lo dico sempre a gran voce (ed è questo il mio suggerimento odierno): genitori, docenti, educatori, iniziate dagli albi illustrati! E continuate per un bel pezzo, senza dare retta a chi vi dice che sono solo per bambini molto piccoli. Persino a scuola sono una risorsa infinita, che può accompagnare l’insegnamento dell’italiano dall’infanzia a tutto il ciclo elementare e, volendo, anche oltre.

E, siccome di solito vi propino titoli di albi illustrati, questa volta faccio uno strappo alla regola e vi segnalo uno dei più straordinari albi senza parole degli ultimi anni: L’approdo di Shaun Tan (Elliot, 2008). Per scoprire le potenzialità di questo tipo di albo e per riflettere e sognare su un tema di estrema attualità come l’immigrazione.

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